MAGICA IRPINIA: VOLTURARA IRPINA

Non è raro che il viandante che cammini lungo la Piana del Dragone, occupata nei mesi invernali dall’omonimo lago (a coprirne una superficie che può arrivare fino a 200 ettari) oda un inquietante brontolio provenire dalle viscere della terra. E immediatamente il pensiero corre preoccupato al grosso drago dalle tre teste e da un unico occhio ipnotico che la tradizione vuole essere stato relegato dai Visigoti nelle voragini a custode del loro tesoro. La belva crudele, che esigeva dagli abitanti un tributo di carne umana, venne alfine uccisa da Gesio, di cui si sa solo che era giovane, bello, alto come i giganti. Il nostro coraggioso eroe, dopo aver ucciso a colpi di spada il mostro, che si sarebbe accasciato al suolo, formando, con la caduta delle sue tre teste striscianti, i solchi e le voragini dalle quali continuerebbe ancora a sgorgare il sangue come un torrente in piena, avrebbe restituito a Volturara il tesoro nascosto nell’antro dello spietato animale.

Questa la leggenda.

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In realtà il sordo brontolio sotterraneo non è altro che la conseguenza del drenaggio delle acque di ruscellamento e degli impluvi naturali in un inghiottitoio -la Bocca del Dragone, per l’appunto-  impostato su una zona cataclastica originata da una faglia. Punto focale della Bocca del Dragone è una sorta di precipizio, che, formatosi dopo il sisma del 1456, si apre alle pendici del Monte Costa ed è in grado di accogliere circa novecento litri d’acqua, dando, dunque, inizio alla rete idrografica sotterranea. Allorché le acque di corrivazione superano la massima capacità di drenaggio dell'inghiottitoio, allora, nella piana si forma un lago a carattere stagionale, nelle cui acque terse e tranquille si riflettono l’azzurro luminoso della volta celeste e il verde cangiante dei monti, che racchiudono il lago a mo’ di cornice. È uno spettacolo di rara bellezza, capace di donare il contatto con una natura semplice e incontaminata, allietata dai colori delicati dei gladioli, che, qui, sono coltivati in abbondanza, e dalla presenza di una ricca fauna, che trova in qualche esemplare di lupo, animale totemico della nostra Irpinia, terra dalla selvaggia modestia, la sua più significativa rappresentazione.

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Ma l’inquietudine che il viandante prova quando, camminando, avverte il vuoto sotterraneo delle cavità carsiche, un tempo dimora della belva efferata, aumenta al ricordo dei numerosi briganti che qui, nella inaccessibile gola del Malepasso, trovarono rifugio. Tra i tanti, il più famoso è sicuramente Vito Nardiello, detto anche il Lupo d’Irpinia o ‘o Malamente. Tornato nella natia Volturara dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in pochi mesi creò una vera e propria banda criminale, chiamando a sé compaesani ex galeotti, dedita a saccheggi, rapine e assalti. La banda, protetta dalle nebbie che spesso vi facevano da padrone, aveva eletto a territorio di caccia il Malepasso, il cui passaggio rappresentava una vera e propria incognita: era, infatti, estremamente probabile cadere vittima di imboscate. Così fu anche per il senatore Alfonso Rubilli, intercettato e rapinato nei pressi della Bocca del Dragone al ritorno da un comizio elettorale. Dopo qualche morto e un numero imprecisato di agguati, rapine e saccheggi, ‘o Malamente fu acciuffato e consegnato alla giustizia. Ma, versione moderna e ruspante del Conte di Montecristo, Nardiello, dopo pochi anni, armato di lima e lenzuola annodate, riuscì nel 1951 ad evadere dal carcere borbonico di Avellino, per l’epoca considerato uno dei più sicuri d’Italia. Latitante per oltre dieci anni (sul suo capo pendeva una taglia di cinque milioni di lire), il Lupo d’Irpinia fu definitivamente catturato nel 1963. Condannato all’ergastolo, dopo 23 anni, nel 1986, ottenne i benefici della libertà vigilata e nel 1991 la piena libertà, spegnendosi nella sua Volturara nel 2001.

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I luoghi un tempo abitati e controllati dai briganti si offrono, oggi, invece, a rilassanti e ritempranti escursioni tra fitti boschi di faggi, castagneti, conifere, spesso interrotti da gole, grotte carsiche, sorgenti, pianure. Mentre dal sottobosco fanno capolino funghi, bacche, fragole, mentre l’origano e il timo deliziano l’olfatto, mentre merli, pettirossi, picchi, usignoli, passeri riempiono dei loro canti l’azzurro.

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E, tuttavia, il viaggio esperienziale del nostro viandante non può dirsi completo senza la sosta obbligata al Museo Etnografico della Piana del Dragone. Ideato e realizzato da Antonio Marra nel 1999, in collaborazione con l’associazione Il Tiglio onlus, il Museo vuole essere scrigno, custode e veicolo per le future generazioni della vita e delle tradizioni contadine di queste terre. Infatti, il Museo, che, grazie al contributo e alle donazioni di molti cittadini, conta oggi 2500 oggetti esposti su due livelli, ricostruisce fedelmente gli ambienti domestici rurali, oltre che esporre i più svariati attrezzi agricoli, spesso realizzati a mano agli stessi contadini, o riproporre i mestieri di un tempo, attraverso la puntuale riproduzione degli angoli artigianali del sarto, del barbiere, del calzolaio, del sellaio e del boscaiolo.

Ricordi palpabili di una vita semplice e genuina, che si nutre di valori autentici, nel rispetto e nella cura amorevole della Natura, che qui, a Volturara Irpina, mostra i suoi più vari e contrastanti volti.  

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