MAGICA IRPINIA: SPERONE

La sublime arte del Sommo Poeta ha immortalato nel XXVI Canto dell’Inferno (uno dei più emblematici, seducenti e intriganti della Divina Commedia) il profeta Elia mentre, trasportato da un carro di fuoco, ascende al cielo, sotto gli occhi attenti e stupiti del discepolo Eliseo. 

E qual colui che si vengiò con li orsi 
vide 'l carro d'Elia al dipartire, 
quando i cavalli al cielo erti levarsi, sì come nuvoletta, in sù salire

che nol potea sì con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire

In quanto assunto al cielo senza che le sue spoglie fossero mai state trovate, Elia è figura Christi, ma, anche, figura Apostolorum, in quanto inviato a convertire i popoli, divenendo, perciò, emblema di salvezza e di diffusione della salvezza. Per questo, i suoi simboli sono la spada, il fuoco, il carro: la spada della passione, per la difesa dei diritti di Dio e dei poveri; il fuoco della compassione, che lo spinge a sfidare re e falsi dei; il carro dell'amicizia, che lo rende nostro compagno nel cammino di ogni giorno. 

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Ed è proprio intorno al culto di Sant’Elia che, tra l’VIII e il IX secolo, si sviluppò il nucleo urbano di Sperone. Compresa inizialmente entro la cinta delle mura di Avella, crescendo il numero degli abitanti, quella che sarebbe divenuta la comunità speronese decise di insediarsi più a sud, nei pressi di un’edicola votiva dedicata al profeta Elia. Tuttavia, la cappella, sorgendo nei pressi di un corso d’acqua, nei periodi di piena veniva spesso sommersa, sicché gli Speronesi decisero di riedificare il luogo di culto nell’attuale centro storico. Ma -come vuole la leggenda popolare- i materiali da costruzione necessari per la nuova cappella sparivano puntualmente, per essere ritrovati nell’attuale piazzale Sant’Elia, dove, appunto, un tempo sorgeva l’antica edicola. Gli Speronesi interpretarono il miracolo come la chiara volontà del Santo di edificare la nuova chiesa nel medesimo punto dell’antica, che il trascorrere del tempo aveva, frattanto, sepolto. E fu proprio durante i lavori di costruzione che tornò alla luce l’antica cappella. Di cui è emblema più rappresentativo il volto affrescato del profeta (risalente al XIV secolo), dallo sguardo dolce e mite, che, per secoli, ha resistito alle intemperie. Uno sguardo che, vedendo, nel 1656, il suo popolo afflitto da una terribile pestilenza, si volse alle miserie e al dolore degli Speronesi apparendo miracolosamente al parroco don Giovanni Giacomo Galeota e esortandolo a prendersi cura della cappella a lui dedicata. In cambio, la promessa della fine del flagello. L’incredulità del parroco fu piegata dalla prodigiosa guarigione di un’appestata, che, avvicinatasi all’effigie del Santo e untasi con l’olio della lampada fu, appunto, risanata. La notizia si diffuse ben presto nella comunità e numerosi malati raggiunsero la cappella del Profeta ottenendone la guarigione. La pestilenza ebbe fine e la cappella di Sant’Elia in Sperone divenne meta di pellegrinaggio da tutta la terra di Avella.

L’antica cappella è, oggi, contenuta, quale prezioso tesoro, nell’attuale chiesa di Sant’Elia, che, risalente alla fine dell’Ottocento, accoglie, altresì, un ricchissimo Museo contadino, che testimonia, con la straordinaria varietà degli attrezzi, delle suppellettili, degli utensili domestici, degli arredi, la vocazione agricola di questo piccolo borgo.

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La profonda e radicata devozione per il santo patrono prende vita in due riti particolarmente cari agli Speronesi, che vedono il coinvolgimento dell’intera collettività e ne cementano il tessuto connettivo. Pur afferendo entrambi i riti ad un intenso sentimento religioso, si può dire che l’uno rappresenti l’anima più pagana e goliardica, l’altro quella più cristiana e pia. Infatti, la Festa del Majo, che si celebra il 20 febbraio a ricordo della protezione che la statua del Santo, portata in processione, accordò alla comunità martoriata dall’epidemia di vaiolo del 1903, innesta la devozione religiosa di impronta cattolica in un antichissimo arboreo rito pagano.

Il Majo viene accuratamente scelto nel bosco di Arciano, dove signoreggiano i castagneti. E il Majo è il signore del bosco: l’albero più bello, alto almeno 20 metri, dalla chioma più folta e dal tronco più liscio e più dritto. Il Majo viene abbattuto (secondo consuetudine, all’abbattimento seguirà la messa a dimora di un giovane castagno) dalla perizia degli Speronesi e, caricato su un automezzo, bilanciando in modo alchemico potenza, zelo e principi del funambolismo, il gigante di legno discende la montagna e giunge in paese, attraversandolo tra ali di folla festante e osannante. Poi, sul piazzale Sant’Elia, l’alzata: una perfetta geometria di funi che eleva il Majo sino al confine del cielo. Mentre la comunità si stringe ancor più in un coro gioioso, consegnando al Santo, ancora una volta, la propria anima.

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Il 20 luglio avviene, invece, la processione dei Battenti: un traboccante fiume bianco striato di rosso si snoda lentamente da Cimitile per sfociare nel piazzale Sant’Elia, dinanzi all’omonima chiesa. E qui, prima che venga celebrata la Santa Messa, la scalza folla devota, fatta di uomini, donne, giovani, bambini, riceve la benedizione dal parroco, a suggellare l’intimo legame tra il Profeta e il suo popolo.

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Un altro simbolo di Sperone è la pregevole Fontana che sgorga nel cuore della Selva Paradina. La Fonte di limpida e leggerissima acqua sorgiva, incorniciata in un pregevole manufatto architettonico, fu realizzata sul finire dell’Ottocento grazie alla munificenza della principessa Livia Colonna, moglie di Alvarez de Toledo, conte di Avella. Un’opera di interesse storico e monumentale, incastonata nel verde abbraccio di una natura incontaminata. E a far da dirimpettaia alla Fontana -separata da un pianoro- spicca, nella semplicità e sobrietà del linguaggio architettonico, la Chiesetta dedicata a Santa Maria Assunta in Cielo, la cui edificazione s’intreccia con la storia di Antonio Catapano. Soprannominato ‘o Muto (in realtà era sordo e muto), Antonio era un provetto ed onesto muratore, che viveva alla giornata ed era molto richiesto per le sue prestazioni di sicura affidabilità. La sua è una storia di devozione e di umiltà che merita di essere raccontata e ricordata. Originario di un non ben precisato Comune dell’Alta Irpinia e stabilitosi a Baiano negli anni Quaranta, Antonio era laborioso, buono, disponibile, ma, soprattutto, animato da una profondissima devozione religiosa, che riversava in particolare nel culto della Madonna del Soccorso, venerata nell’Eremo della Collina di Gesù e Maria. Non riuscendo più a tollerare le deplorevoli condizioni di incuria e di abbandono che avevano sfigurato l’Eremo, con le sue poche forze e con tanta volontà, cercò di arginarne la rovina con quegli interventi di manutenzione che il suo mestiere gli permetteva. Tuttavia, senza alcun proficuo e valido aiuto, quale avrebbe dovuto avere dal clero o dall’amministrazione comunale, dovette, alfine, rinunciare alla sua pur meritoria opera. E così, agli inizi degli anni Cinquanta, ‘o Muto si trasferì a Sperone. Nel piccolo borgo la fede devota di Antonio incontrò l’intensa religiosità della comunità, rapportandosi e integrandosi con quella. Tale intima e pia corrispondenza rappresentò la pietra angolare su cui sarà edificata la Chiesetta dell’Assunta, frutto del lavoro di gratuito volontariato di Antonio e della comunità tutta.

La cui fede incrollabile continua ancor oggi a sostanziare  e vivificare i legami e l’identità comunitari, nutrendosi, al contempo, dei valori semplici e genuini e dei sentimenti pii e autentici di un popolo unito sotto lo sguardo misericordioso e benevolo del profeta Elia.

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