MAGICA IRPINIA: SAN MARTINO VALLE CAUDINA

Imboccata l’erta stradina rallegrata dai colori dei gerani e delle ortensie, raggiungo il castello Pignatelli della Leonessa, che, dai suoi 400 metri di altezza, domina il piccolo borgo e l’intera Valle caudina. Lo sguardo si perde in lontananza e si arricchisce e si distende al blu cobalto del cielo, che fa da volta al cortile centrale del castello. Una stanza riempita del colore del cielo e delimitata dalle alte pareti del maniero color del ferro, ammorbidito, tuttavia, dai tenui colori delle ortensie e reso gioioso dalle vigorose rampicanti. Da qui un’ampia scala conduce alle stanze del duca Giovanni Pignatelli della Leonessa, attuale proprietario del castello, con la cui storia, sin dal 1200, si confondono le vicende dell’incantevole borgo di San Martino Valle Caudina. Infatti, giunta in Italia al seguito di Carlo d’Angiò, la famiglia della Lagonessa (dal primitivo cognome “de la Lagonière” si passò a “della Lagonessa” poi trasformato in “della Leonessa “) tenne il castello fino al 1797 con Giuseppe Maria, principe di Sepino e duca di San Martino. Morto Giuseppe Maria senza eredi, i beni ed il titolo andarono al cugino Raffaele Ruffo, la cui unica figlia, Carolina Ruffo, sposò il Principe Giovanni Pignatelli. Da quel momento, il casato divenne Pignatelli-della Leonessa, i cui discendenti, per l’appunto, ancor oggi abitano il castello, che, nella magnificenza delle sale e degli affreschi che ne decorano le pareti e le volte, rievoca i fasti e la storia della casata. Ai piedi del castello, che, costruito in epoca longobarda, conserva evidente nelle sue mura merlate, nei suoi camminamenti e nelle sue torri di guardia l’originaria fisionomia di fortezza medioevale, si snoda il borgo, sviluppatosi nella gola formata dai contrafforti collinosi situati ai piedi dei monti Pizzone e Teano, che lo racchiudono come quinte di un teatro.    

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Un avvolgente e seducente profumo dirige i miei passi dall’incantevole cortile all’elegante giardino pensile (uno dei pochi orti-giardino medioevali esistenti al mondo), delimitato dalla poderosa cinta fortificata che circonda l’intera sommità dell’altura. Un’antica leggenda del XIV secolo vuole che, costruito il castello, le donne del paese, per rendere devoto omaggio alla loro castellana, pensassero di donarle un giardino, trasformando lo spazio antistante il maniero, allora coperto di pietre e calcinacci. Per giorni e giorni una lunga processione di donne si inerpicò lungo l’erta rampa che mena al castello, ciascuna portando in bilico sulla testa un grosso cesto traboccante di terra. La pietraia fu così trasformata in un prato verdeggiante e fiorito che, divenuto luogo di ristoro dell’intera comunità sammartinese, suggerì al duca, desideroso di ripagare il paese per l’omaggio reso alla moglie, l’organizzazione di una festa della durata di tre giorni. Quell’antica leggenda, tramandata di generazione in generazione, vive ancor oggi, quando, durante la settimana di Ferragosto, il borgo indossa gli abiti del Medioevo e, tra banditori, sbandieratori, musici, antichi giochi e mestieri, il corteo storico colora di un fascino remoto le piazze, le strade, le viuzze del borgo. 

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Ma ecco che dalla dimora del duca, da un tappeto di tetti rossi, vedo emergere la Collegiata di San Giovanni Battista, con molta probabilità di datazione coeva a quella del Castello. Incastonata a mo’ di preziosa gemma nella piccola piazza Del Gaudio, vero cuore palpitante del borgo, la Collegiata investe i fedeli con la sua esplosione di luce, dilatata dai toni tenui e dalle essenziali linee architettoniche. Sotto l’altare maggiore, in una teca di marmo, sono custodite le reliquie dei santi Palerio, vescovo di Telese, e Equizio, diacono del vescovo, che, costretti alla fuga in seguito ad un’incursione saracena verso la fine del secolo IX, trovarono rifugio a San Martino Valle Caudina.

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Torno sui miei passi e, mentre ripercorro a ritroso la stradina, gli occhi, ancora colmi della bellezza del paesaggio assaporata dal Castello, si soffermano sul rosso dei gerani che danzano alle note di Caruso, che Dalla cantò proprio qui, a San Martino Valle Caudina, in anteprima mondiale nel lontano 1986, durante la rassegna di San Martino Arte. E penso come in questo borgo modernità e tradizione, apertura al futuro e amore e rispetto delle radici si fondano in un nodo osmotico e indissolubile. Del resto, la storia di San Martino affonda in un remotissimo passato, come testimoniato dallo stesso toponimo, che alcuni studiosi ascrivono all’Ara Martis, un altare costruito dai Romani, in onore di Marte, per celebrare la vittoria sui Sanniti di Caudium (odierna Montesarchio, capitale dei Caudini) e che, con l'affermazione del Cristianesimo, sarebbe diventato un tempio dedicato a S. Martino.

Mentre l’inconfondibile e morbida voce di Lucio sfiora il rosso dei tetti e riempie le stradine e i vicoli, giungo dinanzi a Casa Giulia, dove visse e morì Matteo Renato Imbriani, convinto irredentista, deputato del Parlamento a partire dal 1889 e figlio di Paolo Emilio Imbriani, altro illustre cittadino sammartinese, professore di discipline giuridiche presso l'Università di Pisa, Ministro dell'Istruzione Pubblica a Napoli, Professore di Diritto costituzionale all'Università di Napoli e Senatore del Regno dal 1863.

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Mi allontano dal borgo abitato e mi immergo nella natura incontaminata, che rende ancor più preziose e uniche queste terre. Infatti, San Martino Valle Caudina offre agli amanti della natura interessanti itinerari naturalistici e la possibilità di visitare variegati ecosistemi naturali, ricchi di fauna, flora e sorgenti d’acqua purissima, come la sorgente Mafariello o le Cascatelle, serie di cascate di una trentina di metri incastonate nel verde.

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A malincuore lascio l’ennesimo gioiello della nostra magica straordinaria sorprendente Irpinia. Ma la separazione sarà breve. Vi ritornerò per la celebrazione del Santo Natale allorché il borgo si trasforma in un unico grande presepe, animato da pastori realizzati a grandezza d’uomo. 

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Mentre i falò natalizi ispirati alla tradizione carbonaia, i cosiddetti catuozzi, illuminano e riscaldano con le loro lingue rosso-arancio la vigilia, annunciando la nascita del Bimbo Divino.

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