MAGICA IRPINIA: MORRA DE SANCTIS

Quanto sia ricca di bellezze nascoste l’Irpinia è testimoniato da un altro dei nostri più incantevoli borghi: il Comune di Morra De Sanctis.

Anche se molti ritengono, in virtù della sua derivazione dalla radice mor/murm,  che “morra” significhi “cumulo di pietre”, ad indicare, dunque, un luogo costruito su un’altura (il che, a sua volta, rinvierebbe all’origine di avamposto alla difesa dell'antico insediamento romano di Compsa), mi pare più giusto e suggestivo sposare l’altra tesi sull’origine del nome di questo straordinario borgo della nostra terra: Morra De Sanctis è l’unico Comune d’Italia il cui nome risulti composto da quello di coloro che più ne hanno caratterizzato la storia. Ossia da quello della famiglia gentilizia dei Morra e da quello del suo più illustre figlio Francesco De Sanctis.

Ed è proprio immaginando di “spiare” la vita del grande De Sanctis, seguendolo attraverso le stradine del suo paese natale, che vorrei portarvi alla scoperta del fascino di Morra.

Ed ecco, allora, Francesco bambino uscire dal vicolo di casa (sulla cui piccola facciata è oggi apposta una lapide che definisce il De Sanctis “gloria immortale d’Italia”) e, attento a non scivolare sui gradoni in pietra resi ghiacciati dal gelo notturno, attraversare quella piazza che porterà il suo nome e correre gioioso verso scuola, sotto l’occhio vigile delle donne intente, sulla soglia di casa, all’antica arte del chiacchierino.  

Trasferitosi ben presto a Napoli per gli studi classici, mi piace pensare che la nostalgia della sua terra e della sua gente sia stata così pungente da spingerlo a creare continue occasioni per ritrovarne l’abbraccio. Come mi piace pensare che il ricordo dell’azzurro intenso del cielo, del verde dei campi che la stagione primaverile rende brillante come in nessun altro luogo, del dolce profilo dei monti, delle cime innevate riscaldate dal sole gli abbiano dato conforto durante i mesi di prigionia trascorsi in Castel dell’Ovo a Napoli per aver partecipato ai moti insurrezionali del 1848.

La memoria colora di struggente dolcezza i luoghi cari. E, così, espulso dal Regno dalle autorità borboniche nel 1853 e trovato rifugio a Torino, egli rivede sé stesso passeggiare all’ombra del Castello dei principi Biondi-Morra, uno dei più imponenti castelli dell’Irpinia, mentre comincia ad abbozzare quella che diventerà una pietra miliare non solo nello studio della letteratura italiana, ma anche di un nuovo approccio all’interpretazione degli artisti e delle loro opere di ogni tempo e di ogni luogo. E che porterà Benedetto Croce a dichiarare che “come critico e storico della letteratura De Sanctis non ha pari”. Immagino avvenire la pubblicazione della Storia della letteratura italiana sotto la protezione benedicente della statua di San Rocco, che domina il piccolo borgo dalla cima della guglia, che, alta circa 20 metri, fa della statua del Santo la più alta d’Italia.

Con l'unione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna per la costituzione del Regno d'Italia,  il De Sanctis può finalmente tornare in patria, dove porta avanti, contemporaneamente alla sempre fervida attività letteraria, anche l'attività politica. E, per fronteggiare le fatiche e gli impegni, sarà senza dubbio ricorso ai piatti della tradizione, dalla migliazza dint’a lu chingo al baccalà alla ualanegna, dalle soppressate alla pasta lavorata a mano. Il tutto innaffiato da un robusto e generoso Aglianico.

Mentre il suo animo si nutriva della bellezza ammaliante dei luoghi natii, si rasserenava ai colori cangianti delle stagioni, si rallegrava ai profumi inebrianti della natura.

In una terra dove l’Occidente sfiora l’Oriente  .


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Foto by Silvana Planeta