MAGICA IRPINIA: MONTEFALCIONE
L’ Irpinia è Terra di mezzo non solo perché è terra di passaggio, al centro dei monti d’Italia, collocata tra la Campania felix e il Tavoliere delle Puglie, tra le montagne dei Lucani e quelle dei Sanniti. Ma anche perché è terra sospesa, a metà tra cielo e terra, tra dannazione e salvazione, tra eden e inferi. È terra che sembra sempre in attesa del suo concepimento e di un suo compimento. Ad opera di chi ne comprenda l’anima profonda e inaccessibile sì da riportare alla luce una scintilla del suo inesauribile segreto. È terra che affonda saldamente le radici nel proprio passato, ma che, con le mani, si protende affannata ad acciuffare il futuro. È terra ballerina, sempre instabile, sempre in bilico, alla perenne ricerca di un suo centro di gravità permanente. Forse, è anche per questo che la dimensione del Divino, il rapporto con la Fede e con il Mistero, in queste terre della Terra di Mezzo, acquistano una valenza e una pregnanza affatto eccezionali, quale unico punto fermo, stabile, saldo, a fronte di innumerevoli e drammatici cambiamenti e stravolgimenti.
Luogo emblematico, capace di condurre all’incontro con il Sacro è, senza dubbio, il sentiero Ripa, a Montefalcione. Il sentiero in pietra, che, incastonato nella natura, congiunge la semplice Cappella del Crocifisso (costruita a valle nel 1895 e custode di un crocifisso ligneo, forse del XVIII secolo, e di una croce di legno, risalente alla metà del secolo scorso, ornata con il solo volto di Cristo) con l’antico borgo medioevale attraverso Porta Ripa (l’unica porta rimasta, risalente al XII secolo, delle cinque che, in epoca medioevale, consentivano l’accesso al borgo), vuole condurci a rivivere la Passione del Cristo. Si tratta di un’esperienza mistica struggente e intensa, che, alterando la percezione del tempo, ci rende testimoni sofferenti del dolore di Gesù. La drammatica empatia con il supplizio del Figlio di Dio è resa possibile dalla dolorosa potenza delle sculture che stanno a rappresentazione e commento delle quattordici stazioni della Passione. Partorite dal devoto slancio creativo del professore Giuseppe Martignetti, le statue raccontano, nel silenzio commovente della natura, inorridita dinanzi a siffatta brutalità, il dolore dell’Uomo innocente, causato da carnefici privi di volto. Perché, se è vero che ciascuno di noi può essere vittima innocente, è ancor più facile che ognuno di noi possa oltraggiare il Figlio dell’Uomo. I gruppi scultorei, le cui dimensioni superiori a quelle naturali rendono ancor più icastico il messaggio dell’artista, si snodano a scoprire, lungo le stazioni, un panorama di dolce bellezza, quasi contraltare all’aberrazione umana e conforto all’anima.
La cima del colle vede l’apoteosi della resurrezione di Cristo. Si è, alfine, giunti alla sedicesima stazione (contrariamente alla liturgia cristiana, il sentiero prevede ulteriori due stazioni: la prima fa da preambolo poiché raffigura gli eventi drammatici accaduti prima dell’ascesa al Calvario, l’ultima ritrae, appunto, la resurrezione): si assiste allo straordinario miracolo e all’inestimabile dono della redenzione concessa da Dio-Figlio agli uomini.
Ma tale luogo assume, per gli abitanti di Montefalcione, una
valenza che non solo si alimenta del rapporto col Divino, ma che si nutre anche
della memoria e del rapporto col proprio passato. Infatti, sulla cima del colle
fu edificato, probabilmente dai Longobardi nel XII secolo, il Castello, il
primo e più antico nucleo intorno al quale si sarebbe sviluppato il borgo. Abitato da casate quali quelle di Torgisio de Montefalcione, dei
Poderico, dei de Tocco di Montemiletto, l’antico maniero lascia scorgere le sue
vestigia unicamente in una delle quattro torri che probabilmente ne delimitavano
la cinta. Oggi la torre superstite appare inglobata nell'edificio gentilizio in
cui venne trasformato il castello, a testimoniarne la trasformazione in una
residenza privata. Intorno al castello furono edificate la Chiesa
dedicata a S. Maria in Cielo, l’Abbazia e la Piazza dell’Olmo, mentre, le
attività mercantili, per evitare il disagio della salita in collina, si
svilupparono a valle, dove sorse un agglomerato urbano noto come Taverna o Borgo e dove, nel 1680, venne costruita la Chiesa Madre
di S. Giovanni Battista l'Eremita, affiancata dal
Monastero-Ospedale.
Luogo di culto per eccellenza è, però, sicuramente il Santuario di
Sant’Antonio da Padova. Il Santo venne eletto a patrono del borgo e a
protettore degli abitanti in seguito al miracoloso intervento da lui operato nel
1688, allorché un disastroso terremoto si abbatté sui paesi limitrofi,
risparmiando sorprendentemente Montefalcione. Così, la comunità si adoperò per
ottenere dal Pontefice un particolare patrocinio, tanto che nell’agosto di
quello stesso anno Sant’Antonio fu proclamato protettore del paese. E
nell’agosto del 1988, a trecento anni da quell’evento, la Chiesa madre,
intitolata alla Madonna dell’Assunta, divenne Santuario di Sant’Antonio. Un
imponente ed elegante portale in bronzo, opera della fine arte di Aldo Melillo,
introduce il fedele nell’aura mistica, che, attraversata da guizzi ramati, si
concentra in particolare sulla magnifica statua del Santo, scolpita in legno a
Napoli nel 1643. La statua, che l’ultima domenica di agosto viene portata a spalla
dai fedeli, si compiace dello snodarsi dell’orante processione lungo le vie del
piccolo borgo. Ma portare il Santo è un onore e un privilegio, che vanno
conquistati a suon di offerte. E, infatti, tra gli astanti si svolge una vera e
propria asta -la cosiddetta asta dei santi- che assicurerà la vittoria a coloro che
offriranno di più (il ricavato verrà investito dal comitato preposto
all’organizzazione nella festa dell’anno successivo).
Il lunedì successivo all’ultima domenica di agosto è, invece, dedicato a Santa Lucia: dopo la mezzanotte, al termine del sacro corteo, una grandiosa gara pirotecnica notturna (una delle più antiche della Campania, che vede esibirsi le più rinomate e blasonate ditte pirotecniche italiane) unisce alle chiare e placide stelle del cielo irpino milioni di scoppiettanti fiammelle colorate, che inondano di contagiosa allegria le case e i vicoli del borgo e di fresca letizia gli animi.
Perché solo lo strazio della Passione, solo l’esperienza e la memoria del dolore possono arricchire di ulteriore e più pregnante senso l’incontro gioioso con l’Altissimo.