MAGICA IRPINIA: MIRABELLA ECLANO

Una fenice d’argento in campo azzurro che si solleva superba dalle fiamme nascenti da tre mucchi di ruderi, a volgere lo sguardo fiero e sicuro verso il Sole che brilla. Questo lo stemma concesso, insieme con il titolo di città, nel 1873 da Vittorio Emanuele II a Mirabella Eclano.  

Potente immagine, simbolo di una tenace forza vitale che neppur la morte è in grado di annichilire; vivida effigie, simbolo di un coraggio indomito che risorge dalle ceneri e dalle macerie; eloquente rappresentazione, simbolo di un popolo che il fuoco non distrugge, ma, piuttosto, vivifica e purifica, elevando a un maggior grado di perfezione. Messaggio di speranza e di fiducia all’Italia tutta, affinché possa risorgere più forte e più unita; più consapevole della propria Storia e delle proprie radici, quelle di Roma e del Cristianesimo soprattutto; più convinta nell’affermazione della propria grandezza che tanti muove all’invidia e alla cupidigia; più orgogliosa di sé, quale scrigno ricchissimo e ineguagliabile di tesori che la mano di Dio e la genialità creativa affatto italiana hanno donato e donano alla nostra straordinaria Patria.

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Così Mirabella Eclano: una città più volte distrutta da guerre e terremoti, eppure mai piegata, sempre capace di riprendere in mano il proprio destino e volgere lo sguardo verso il cielo. Rasa al suolo nell’89 a.C. da Silla per aver partecipato alla guerra sociale, Aeclanum fu ricostruita poco dopo, nell’87 circa, divenendo municipium con diritto di voto e, all'incirca nel 120 d.C., sotto l’impero di Adriano, colonia con la denominazione di Aelia Augusta Aeclanum. A testimonianza di quel passato di magnificenza restano le Terme, il Macellum, il Gymnasium, il Foro, l'Anfiteatro, il Teatro, il Forum pecuarium (mercato del bestiame da pascolo). Nel 369 d.C. un violento sisma colpì Aeclanum con conseguenze disastrose; nel 410 d.C. il passaggio dei Visigoti di Alarico dalla Campania alla Puglia arrecò ingenti danni alla città; nel 662 d.C. fu la volta dell’imperatore Costante II di Bisanzio, diretto all'assedio della longobarda Benevento. Sui resti della grande città sorse un misero villaggio di pochi “fuochi”, chiamato Quintodecimo (perché a quindici miglia da Benevento): ma i sopravvissuti non si arresero e, nel giro di pochi decenni, trasformarono il piccolo borgo in una cittadine ricca e ambita. Coinvolta nelle lotte tra Papato e Normanni, dopo il Mille il paese fu più volte saccheggiato e distrutto dai soldati delle opposte fazioni, finché gli abitanti decisero di trasferirsi in un luogo meno esposto e più difendibile, non lontano da una zona paludosa, ove sorgeva limpida e cristallina una sorgente di acqua sulfurea. Nasceva, così, Aquaputida, nucleo embrionale della futura Mirabella, toponimo che il borgo assunse durante il XIV secolo, mentre erano in corso le guerre di successione angioina, probabilmente in ossequio al carattere indomito e bellicoso dei suoi abitanti. Che nemmeno i terremoti particolarmente disastrosi del 1456, del 1688, dl 1732, del 1980 riuscirono a domare.

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Lo spirito fiero degli Eclanesi trae forza e vigore anche dal profondo sentimento religioso che unisce saldamente la comunità e che, al contempo, è espressione di un orgoglioso e ostinato attaccamento alle proprie radici e alla propria Storia. Ne è straordinario esempio il celeberrimo Carro, un monumentale obelisco alto circa 25 metri e del peso di oltre 20 tonnellate, che sei magnifiche coppie di buoi, il sabato che precede la terza domenica di settembre, tirano in onore della Madonna Addolorata.

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La festa religiosa risale al 1600, quando i contadini del borgo, per ringraziare la Madonna Addolorata per il raccolto del grano, Le portavano come tributo dei fasci di grano servendosi di carretti agricoli a due ruote. Col tempo, i contadini cominciarono, quasi a gara, ad ornare sempre più i loro carri finché si decise di passare dall’offerta dei singoli ad un’offerta collettiva, realizzando, così, un solo grande carro. L’attuale struttura del carro risale al 1924 ed è opera di Luigi Faugno, che ricostruì interamente l’obelisco già progettato e realizzato nel 1869 da Stanislao Mancini (un artigiano napoletano residente a Fontanarosa), conferendogli lo stile barocco che ancor oggi esso conserva. Costituito da sette piani o registri, ognuno dei quali è più basso del precedente (sicché dai sei metri del primo registro si arriva al metro e mezzo dell’ultimo piano), il Carro ha struttura in legno, che, fissata ad un carro agricolo con un supporto consolidato in ferro, è costituita da 23 travi di legno su cui sono fissati 99 pannelli interamente ricoperti di paglia intrecciata. A creare motivi floreali, volute, ghirigori, frutto della maestria valente di artigiani ispirati e guidati da una fervida fede.   Sulla cima dell’obelisco è fissata la statua della Madonna Addolorata, che, innalzata verso l’azzurro, intermediaria tra la Terra e il Cielo, tra l’uomo e Dio, volge il suo sguardo benevolo sulla folla dei fedeli.

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 Ed ecco che, alfine, il carro inizia la sua “tirata”, che durerà non meno di cinque ore, dalla collina di Santa Caterina, ove la statua della Vergine è custodita per tutto l’anno, sino alla chiesa della Madonna Addolorata. Una selva di corde di canapa (38 funi di 50 metri ciascuna) si irradiano dall'obelisco, tenute dalle braccia esperte di un esercito di funaioli, che eseguono le direttive impartite dai direttori di guida e dai sei assistenti che, dalle quattro finestre del primo registro, fanno attenzione che non accada l’irreparabile.  La caduta del carro è, infatti, presagio certo di sventure. Come accadde nel 1881 e nel 1961, quando il Carro, rovinando al suolo, annunciò le carestie del 1882 e il terremoto del 1962 che si abbatterono sull’Irpinia. E in entrambi i casi -si dice- la statua della Madonnina si posò su un ramo di ulivo.

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La storia delle tradizioni religiose e lo spirito mistico dei Mirabellani sono segnati anche dall’opera del maestro Antonio Russo, che, tra il 1870 e il 1875, realizzò gruppi di statue in cartapesta -circa settanta-, di altezza poco inferiore a quella umana, rappresentanti la vita e la passione di Cristo. I Misteri di cartapesta (non è chiaro se il termine derivi da ministerium = ufficio religioso o da mistieri = mestieri, poiché pare che in origine la custodia delle statue fosse affidata alle varie corporazioni) hanno, talora, il volto e i vestiti di cittadini di Mirabella vissuti all’epoca dell’autore, che il Russo collocò nei vari tavolati con lo scopo di elogiarli o di vendicarsi di alcuni torti subiti. Portati un tempo in processione durante il Venerdì Santo, i Misteri venivano esposti nella piazza di Mirabella, oggetto della venerazione dei fedeli.

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Storia e fede, arte e tradizioni si intrecciano a delineare la fisionomia di una comunità che gli eventi, seppur drammatici, non sono riusciti ad alterare, dandole, anzi, la forza di rinascere dalle proprie ceneri e di librarsi nell’azzurro.

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