MAGICA IRPINIA: GROTTOLELLA

Una moltitudine indistinta di tetti rossi, simile ad un quieto gregge di pecore, sembra risalire ordinatamente su per i fianchi della collina, nel tentativo di guadagnarne la vetta, già occupata, tuttavia, dall’imponente Castello Macedonio. Edificata nel 1083 su di una preesistente roccaforte longobarda a controllo del vecchio borgo, la fortezza ospitò i signori feudali che in queste terre si succedettero, dai d’Aquino (che tennero il feudo fino al 1466) ai Carafa (che dominarono fino al 1590) ai duchi Macedonio (che acquistarono il feudo nel 1617 tenendolo fino all'abolizione della feudalità nel 1806). Quattro torri angolari (tre cilindriche e una -quella che guarda ad Oriente- quadrata) concorrono a delimitare il perimetro della corte interna. Un pregevole pozzo-cisterna posto al centro della corte attira lo sguardo: una leggenda medioevale vuole che, proprio in questo pozzo, le streghe del paese nutrissero, con i resti dei loro pasti, le salamandre, piccoli anfibi che, fin dall’antichità, si credeva potessero vivere nel fuoco. Motivo per cui esse vennero simbolicamente associate alle Fate del Fuoco, spiriti della Natura, di derivazione celtica, visualizzate per lo più come piccole luci svolazzanti intorno al fuoco. E proprio alle salamandre fu dedicata la Festa delle Fate del Fuoco con cui i feudatari ringraziavano i coloni quando, agli inizi di settembre, incassavano i proventi del raccolto e che i Macedonio ripristinarono quando, dopo la sconfitta di Napoleone, rientrarono in possesso delle saline che erano state loro espropriate da Giuseppe Bonaparte. A difenderle e sorvegliarle era stata inviata dal Bonaparte una guarnigione di ben ventidue soldati, che, essendosi stabiliti nella frazione di Tropeani (dove, appunto, insistevano le saline), lasciarono, quale retaggio, ai residenti della frazione l’appellativo, ancor oggi in uso, di Francesi.

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Ma i soldati di stanza a Grottolella importarono anche un piatto che sarebbe, poi, entrato nella tradizione culinaria del borgo. La cosiddetta Merenda del Francese altro non è che la Pizza Cenerella, una sorta di focaccia annerita dalla cenere del forno non ancora completamente pulito e che serve, ancor oggi, a testare la temperatura del forno prima di infornarvi il pane. La focaccia, appena sfornata, avvolge in un focoso e fragrante abbraccio il formaggio pecorino, la pancetta di maiale o quella di cinghiale, che, a contatto con la soffice mollica calda del pane, ammorbidendosi, deliziano, con la complicità di un vivace Coda di Volpe (reso frizzante con l’aggiunta di zucchero in fase di imbottigliamento), il palato e l’olfatto.

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L’antica festa popolare delle Fate del Fuoco è stata ripresa in tempi più recenti grazie al Pasto della Salamandra, una rassegna di arte, teatro, spettacolo e gastronomia che, per tre giorni, anima il borgo di Grottolella durante la pima decade di settembre. Ogni angolo del centro storico si colora dell’allegria di una miriade di spettacoli della tradizione popolare; ogni vicolo diviene il palcoscenico per attrazioni e artisti di strada; ogni scorcio del borgo viene scoperto, riscoperto, valorizzato grazie all’impegno e alla dedizione di tutta la comunità. Di cui è sicuramente espressione più alta e geniale il maestro Giovanni Spiniello, artista di fama internazionale, che, originario di Grottolella, ha voluto donare alla sua terra un Museo all’aperto di scultura. Opere monumentali accolgono il visitatore, trasmettendo, a un tempo, la vertigine dell’infinito e la fragilità della finitezza umana, l’insopprimibile tensione verso il Cielo e la volontà di rimanere ancorati alla Terra.

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In questo senso tra le opere più suggestive è, senza dubbio, L’albero dell’amore e del vento (una scultura, patinata verderame, realizzata con la tecnica della plastoggettografia in cemento armato ad alta resistenza), che eleva superbamente i suoi rami quasi a toccare l’immensità della volta celeste, ma, al tempo stesso, affonda saldamente le sue radici nella terra. Posizionata alle spalle del Castello Macedonio, non lontano, significativamente, da La strada del cielo (altra opera del maestro Spiniello, che rappresenta una dea irpina che funge da collegamento ascensionale tra Cielo e Terra), la scultura vuole essere anche un atto di amore da parte dell’artista verso il proprio paese natio, un solido etereo emblema del legame che dovrebbe unire ciascuno alla propria storia.

La nostra identità è il risultato di quei rami protesi verso il passato, ad azzerare le distanze e ad ingannare il tempo, e di queste radici, che affondano nel tempo presente, nutrendo di leggerezza i rami e traendo da quelli la forza della consapevolezza di sé.

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