MAGICA IRPINIA: CASTELVETERE SUL CALORE

Tra i tesori più preziosi e seducenti della nostra bella Irpinia è sicuramente Castelvetere sul Calore. Un gioiello poliedrico che sa armonizzare i suoi tanti e ammalianti volti sia grazie al profondo e condiviso senso di appartenenza alla propria storia sia in virtù del sentimento di riconoscenza e rispetto verso le proprie radici. Tutto, in questo piccolo ameno splendido borgo, parla di comunanza e condivisione. Ciascuno, a Castelvetere, si sente parte attiva di una comunità, che, a sua volta, trae vigore ed energia da ogni suo singolo membro. Nessuno è escluso: la gioia dei più piccoli, la vitalità dei giovani, la competenza degli adulti, la saggezza degli anziani si fondono e si confondono alla realizzazione di un comune progetto. Che è, poi, sostanzialmente, quello dello stare insieme, nella condivisione dei momenti topici della collettività tutta.

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Evento aggregante per eccellenza è indubbiamente la festa che si svolge ogni 28 aprile in onore della Madonna delle Grazie. Particolarmente sentita e partecipata, la festa trova la sua origine in una storia risalente alla fine del X secolo, quando ad una vecchietta apparve la Madonna delle Grazie. La Vergine chiese alla donna di far erigere, in quel paesino così devoto, una chiesa in suo onore. La pia donna si rivolse al curato, alle autorità, al popolo, ma né il curato, né le autorità, né il popolo le diedero credito. La donna, allora, mestamente, ritornò alla sua povera abitazione, dove, però, le apparve di nuovo la Madonna, che promise alla vecchierella che avrebbe fatto cadere della candida neve nel punto esatto in cui voleva fosse eretto il suo tempio. La vecchina ritornò dal curato, dalle autorità, dal popolo, che, questa volta, prestarono fede alle sue parole tanto da cercare la neve per tutto il paese finché, ai piedi del Castello, non trovarono una piazzetta coperta di neve. Era il 28 aprile. Della vecchierella non si trovò più traccia, tanto che si suppose che ella fosse proprio la Madonna. Comunque, subito furono raccolti i fondi e costruita la chiesa, che, intitolata, appunto, alla Madonna delle Grazie, molti secoli dopo, nel 1992, sarebbe stata elevata a Santuario diocesano.

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La fede profonda e la sincera devozione che animarono la vecchietta rivivono, da allora, nella comunità castelveterese tutta, che, ogni anno, da allora, offre se stessa con gioia commossa all’abbraccio amorevole della Madonna delle Grazie, dedicandosi alla preparazione della celebrazione religiosa da ben prima del 28 aprile. Infatti, già a marzo, grandi e piccini si recano in montagna per raccogliere la legna che servirà per accendere il forno sito nel centro del paese e utilizzato unicamente per cuocere i tortani, una sorta di taralli (ma guai a chiamarli così se non volete trasformare gli affabili Castelveteresi in nemici giurati!!!), fatti con un impasto di farina, acqua, sale e lievito, la cui tradizione si lega ad una donazione da parte di un’anziana signora, devota alla Madonna, di un appezzamento di terreno coltivato a grano affinché esso fosse utilizzato per fare del pane da donare ai poveri.

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In montagna, durante la raccolta della legna, ciascuno ha il suo compito: gli uomini, armati di sega e accette, tagliano i rami; le donne e i bambini raccolgono i taccheri, (piccoli pezzi di legna legati a formare delle fascine); tutti aiutano a caricare i taccheri su diversi mezzi di trasporto per portarli fino al forno del paese. A controllare il tutto ci sono i cosiddetti masti ‘e festa, figure essenziali per l’organizzazione della festa. Se si considera che, per poter riscaldare il forno, servono all’incirca 350/400 fascine di taccheri, si comprende bene quanto debba essere faticosa tale fase preliminare. Ma tutto è vissuto all’insegna della fede e, dunque, ogni sacrificio, ogni sforzo, ogni fatica sono accolti con serena letizia e sono sostenuti dalla gioia della convivialità e della collaborazione. Ma anche dalle abbondanti e prelibate pietanze e dal vino generoso che, a conclusione dell’impegnativo lavoro, imbandiscono colorate tovaglie distese sul verde brillante dei prati di montagna. Il pranzo conviviale dona rinnovate energie per formare la catena umana che, una volta giunti in paese, prende forma e preleva le fascine dai mezzi di trasporto per passarle di mano in mano fino all’interno della struttura in cui si trova il forno e dove avviene la panificazione. Raccolta la legna, bisogna ora trovare la materia prima - la farina- necessaria alla preparazione di ben 50.000 forme di pane. Entra, allora, in scena il masto ‘e festa, che, insieme con alcuni volenterosi, inizia a battere il paese e le campagne in cerca di denaro per acquistare  la farina. E, finalmente, procuratisi legna e farina, si dà inizio alla panificazione. Anche la panificazione, cui si dedicano esclusivamente le donne, inizia ben prima del 28 aprile: ogni sera -e per tutte le sere fino al momento dell’infornata dei tortani- le donne del paese si riuniscono al forno e, dopo la preghiera, cominciano ad impastare, facendo pressione sull’impasto bianco con i pugni chiusi e dandosi il cambio ogni quindici minuti. Sebbene faticosa, alla panificazione partecipano anche le spunziatrici (le dispensatrici), bambine tra gli 8 e i 12 anni, cui, il 28 aprile, spetterà un compito di grande responsabilità. Muovendosi in uno spazio ristretto come un unico perfetto ingranaggio, le decine di donne addette alla panificazione scandiscono, a tratti, il lavoro con canti religiosi, in cui la voce rugosa delle anziane si mescola al tintinnio dorato delle voci infantili. Una volta pronto, l’impasto viene tagliato a formare delle pagnotte, che vengono riposte nelle martore (le madie), ricoperte con dei panni e lasciate a crescere (a lievitare) per un’intera notte. Il mattino dopo ogni panificazione, intorno alle 4.30, una vecchietta, con l’aiuto di qualche donna più giovane, si reca al forno del paese per accendere il fuoco e preparare i mattoni alla cottura. Via via che la luce del Sole illumina le strade del paese arrivano al forno altre donne che cominciano a lavorare le pagnotte, da cui si ricavano pezzi -tutti dello stesso peso- cui viene data la forma dei tortani. Una volta cotti, i tortani vengono sistemati nelle ceste che giovani ragazze portano fino alla Chiesa di San Lorenzo – sede in passato della Confraternita di Santa Maria delle Grazie –, dove vengono disposti a formare una sorta di altare di pane, detto muro di tortani.

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Ma ecco che il giorno della celebrazione della Madonna delle Grazie è ormai prossimo. E così adulti, ragazzi, bambini si recano nuovamente in montagna. Questa volta per raccogliere centinaia di candidi gigli selvatici con cui adornare il trono su cui, il 27 aprile, verrà riposta la statua della Madonna delle Grazie, conservata, fino a quel giorno, in una teca di vetro nel Santuario dedicato alla Madonna. Mani laboriose, esperte e pazienti inseriscono, ad uno ad uno, i gigli nella spugna che compone la base del trono della Madonna, ennesima testimonianza della fede devota alla patrona del borgo. Canti commossi si levano ad accompagnare la Vergine che, con in braccio il Bimbo divino, sale sul trono, a proteggere dall’alto il suo popolo con il dolce sguardo misericordioso, quasi promessa di intercessione tra gli uomini e Dio.

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La regalità di Cristo, simboleggiata dall’oro dei broccati e dei gioielli, la purezza incarnata dalla Vergine, il candore rappresentato dai gigli prendono vita e corpo in uno dei momenti più delicati ed emozionanti della festa, cha ha quasi il sapore di un rito di passaggio e che vede protagoniste le spunziatrici, bambine letteralmente rivestite d’oro, che, il 28 aprile, bussano a tutte le case del borgo per distribuire i tortani. Anche in questo caso solo il tenace legame di appartenenza alla collettività e il profondissimo sentimento di devozione sincera consentono di sopportare e superare la fatica e la stanchezza. Infatti, il rito prevede che sul candido abito indossato dalle dispensatrici venga appuntato tutto l’oro che, nelle settimane che precedono la festa, i genitori delle giovinette hanno chiesto e ottenuto da parenti e amici. Contrassegnato da un numero abbinato alla famiglia che lo ha prestato, ogni singolo monile viene appuntato sul petto delle dispensatrici attraverso un lungo lavoro certosino che vede impegnate per 6-7 ore non solo le donne esperte nel cucito, ma anche le bambine, che, alla fine, indosseranno un abito del peso di circa sette chili.

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Rese forti dal pregnante ruolo simbolico loro attribuito, le spunziatrici seguono, in processione, la statua della Vergine, accompagnate dalle madrine e dai padrini (questi ultimi muniti di un bastone che simbolicamente serve a difenderle), nonché da alcuni Carabinieri (contro eventuali malintenzionati). Dopo pranzo le bambine iniziano a dispensare i tortani, che possono essere prelevati dal muro di tortani e posti nelle ceste esclusivamente dal masto ‘e festa. La cesta viene tenuta sulla testa dalle dispensatrici, che, divise in gruppi e a piedi, assieme ai propri accompagnatori e ai Carabinieri, portano i tortani casa per casa, in diverse zone del paese. Ogni volta che vengono consegnati i tortani, i masti ‘e festa salutano con la frase l’anni chi vene pure, come buon auspicio a rivedersi l’anno successivo.

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Ma la festa non termina il 28, perché il 29 le bambine, dismessi gli abiti della festa, accompagnate dal loro padrino, sempre munito di bastone, e dai masti ‘e festa, si recano nelle case di campagna per distribuire i tortani. Finalmente, nel tardo pomeriggio tutti i vari gruppi che si sono divisi per le diverse zone di campagna si incontrano in un punto di ritrovo e raggiungono insieme, cantando, la Chiesa di San Lorenzo per la breve cerimonia di chiusura, con la consegna di simbolici attestati di partecipazione alle bambine spunziatrici.

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All’estatico misticismo e al candore virgineo propri della festa della Madonna delle Grazie fanno da contraltare la goliardia sfrenata e la trasgressione allegra del Carnevale castelveterese, la cui origine risale al lontano 1683, inserendosi nelle rivalità artigianali dei due agglomerati del Castello e della Pianura che, dopo la seconda guerra mondiale, presero il nome di Piazza (corrispondente al centro storico, abitato da famiglie castelveteresi da più generazioni) e via Roma (lungo la quale vivevano famiglie migrate dai paesi limitrofi).  E anche se quella gioiosa rivalità non esiste più, resta, però, la grande maestria artigianale dei Castelveteresi, che si rivela non solo nella realizzazione dei monumentali carri allegorici, che la spettacolarità dei movimenti, i colori sgargianti, le luci caleidoscopiche rendono un’attrazione imperdibile per grandi e piccini, ma anche nella realizzazione dei meravigliosi costumi, di fattura interamente sartoriale, che dipingono di mille colori le danze che introducono i carri. Mentre impalpabili coriandoli e avvolgenti spirali di carta colorata attraversano l’azzurro del cielo e ricoprono di allegria il selciato.

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Le tradizioni identitarie di Castelvetere si inseriscono in una straordinaria cornice paesaggistica e artistica. Fatta di meravigliosi belvedere, che consentono di distinguere, nelle limpide giornate primaverili o nelle frizzanti e terse giornate d’inverno, fino a 28 paesi. O fatta di piccoli preziosi gioielli, come il Santuario della Madonna delle Grazie, ove è possibile ammirare un elegante pulpito in legno di rosa o un delizioso trittico quattrocentesco, che ritrae, al centro, un raro esempio di Madonna che allatta con entrambi i seni. O come la chiesa della Madonna dell’Assunta, la chiesa Madre del borgo, che, costruita all’interno del vecchio Castello, è un particolarissimo esempio di trasformazione da luogo difensivo a luogo di culto. O come l’antico borgo medioevale, che, sorto intorno all’area un tempo occupata da un antico complesso castellare, con le sue viuzze, i suoi archi in pietra, le sue unità abitative attraversate da una miriade di vicoli percorribili esclusivamente a piedi, costituisce un bene paesaggistico e architettonico di raro fascino.

Un borgo in cui storia, natura, arte, tradizioni, folclore si mescolano a creare la specificità di un popolo che, proprio da quella specificità, trae la sua indomita identità e la sua vigorosa bellezza.


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Castello longobardo

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Stradine del borgo

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Borgo medioevale