MAGICA IRPINIA: CAPOSELE

Vi sono luoghi che si caricano di una particolare valenza simbolica ed emozionale, divenendo, per questa via, luoghi dell’anima. Luoghi che possiedono lo straordinario potere di rivelare noi a noi stessi e di condurci, in modo affatto epifanico, alla riconquista della nostra identità, al raggiungimento della pienezza dell’essere.

È il prodigio che si verifica a Caposele, il borgo che deve il toponimo alla sua ubicazione nei pressi delle sorgenti del Sele, sicuramente tra le più importanti d’Europa.

La consapevolezza di essere lì dove l’acqua nasce per la prima volta alla luce, prorompendo dalla roccia calcarea del Paflagone (il massiccio dei Monti Picentini alle cui pendici sorge il centro abitato) si traduce nella perfetta consonanza e corrispondenza fra l’io e il Tutto, quasi riappropriazione dell’edenico stato di armonia con la Natura. Ricco di significati simbolici e rituali, nonché di riferimenti archetipici (l’acqua è simbolo dell’origine della vita, non solo di quella biologica, ma, per i credenti, soprattutto di quella spirituale come rinascita alla vera vita attraverso la cerimonia del battesimo), lo spettacolo indescrivibile dell’acqua che sgorga pura dalla roccia ci rapisce a tal punto da farci vibrare all’unisono con il Creato, divenuti, ormai, pienamente partecipi della vita del Tutto e capaci di assecondarne i più intimi e reconditi movimenti.

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La linfa vitale del Sele celebra, lungo l’intero corso del fiume, l’esuberante trionfo di una Natura lussureggiante, regno prediletto di farfalle, piccoli anfibi, trote, corvi reali, aironi. Il fragoroso discendere delle limpide acque cristalline produce cascate (tra cui quella, di 30 metri, della Madonnina) dalla chioma spumeggiante e incantevoli insenature incastonate in uno scenario fiabesco. È, questo, il Parco fluviale dei Monti Picentini, capolavoro della Natura di indicibile bellezza e armonia.

Ma tutto, a Caposele, è intimamente legato alle acque del Sele. Come già testimoniato dal toponimo, che deriverebbe da caput Sylaris (capo/inizio del Sele), la presenza di abbondanti acque sorgive fu sicuramente il motivo principale per cui i primi abitanti decisero di insediarsi in questi luoghi. Chiunque essi siano stati: sia che, secondo taluni, fossero gli abitanti dell’antica Poseidonia (l’odierna Paestum), che, risalendo il corso del fiume, diedero il nome di Paflagone al monte e di Sele al fiume, sia che, secondo talaltri, Caposele fosse stata fondata, nel periodo delle guerre fra Sanniti e Romani, da coloro che lì si ritrovarono da luoghi di scontri militari (per inciso, va ricordato che, stando a quanto narrato da Paolo Orosio, proprio ad caput Sylaris,  ci fu la sanguinosa repressione romana della rivolta di Spartaco).

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Dunque, alle acque del Sele si legò da sempre l’economia del paese, che vide la nascita di mulini, frantoi, gualchiere, di cui oggi, tuttavia, rimane poco o nulla. Infatti, le attività legate a tali strutture cessarono di esistere, nei primi del Novecento, con l'inizio dei lavori per la costruzione dell'Acquedotto pugliese e la conseguente captazione delle sorgenti del fiume. Opera di straordinaria ingegneria idraulica, l’Acquedotto pugliese fu progettato dall’ingegnere Camillo Rosalba, che aveva intuito la possibilità di dissetare la siticulosa Apulia (come ebbe a definire la Puglia il poeta Orazio) convogliando le acque di Caposele. Venne, invece, realizzato grazie a Giuseppe Pavoncelli, politico e imprenditore meridionale, che, da Ministro dei Lavori pubblici, sostenne l’avvio dei lavori dell’Acquedotto pugliese, di cui sarebbe poi divenuto il primo presidente.

L’Acquedotto ha origine dalle sorgenti della Sanità, dove il Sele raccoglie le sue acque una volta sgorgato dal monte Paflagone. Per mezzo della galleria Rosalba, di circa 300 metri, le acque vengono convogliate nella galleria Pavoncelli (la galleria idrica che, con i suoi 246 chilometri, è la più lunga al mondo), che, dal 1960, riceve anche le acque del fiume Calore, in agro di Cassano Irpino, e, senza consumare un solo KW di energia, (grazie alla conformazione della galleria che, calando di un metro ogni chilometro, aumenta la velocità del fiume già impressa dall’imponente massa d’acqua che scorre), raggiunge Santa Maria di Leuca, punto terminale della monumentale opera acquedottistica.

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 La potenza e l’importanza del Sele sono ravvisabili anche nel Museo delle macchine di Leonardo, che, istituito a Caposele nel 2012, in seguito ad una donazione dell'Ordine dei Cavalieri Crociati di Malta, ospita le riproduzioni di alcune macchine progettate da Leonardo da Vinci, tra cui, per l’appunto, il primo modello della storia di mulino industriale, che poteva funzionare sia con la forza dell’acqua sia con quella del vento.

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E all’acqua, il cui scroscio fa costantemente da sottofondo musicale alla vita del paese, sono ispirate anche alcune delle architetture più belle e significative. Zampilli festosi, placidi rivoli, fontane storiche (come quella da cui è possibile bere l’acqua direttamente dalla sorgente prima che essa imbocchi la Pavoncelli) punteggiano il borgo e ne accrescono la suggestione. Ma l’inno più grandioso al Sele è la Chiesa Madre di San Lorenzo.  Collocato nel cuore del centro storico di Caposele e ricostruito ex novo dopo il terremoto del 1980, l’edificio nacque, su progetto dell'architetto Carlo Cuomo e dell'ingegnere Vittorio Gigliotti, dalla felice interpretazione di un passo del profeta Ezechiele che narra la visione dell’acqua che sgorga dal tempio di Gerusalemme e che, fluendo, risana e dona la vita, nonché dall’ispirazione prodotta dallo spettacolo impressionante della galleria sotterranea di captazione della sorgente, ove il Sele, con la sua la portata di 4600 litri al secondo, manifesta tutta la sua vigorosa bellezza. Nella chiesa, le pareti sinuose richiamano il mulinare fragoroso del Sele; il soffitto, con i suoi cerchi concentrici, richiama i vortici del fiume; il candore abbagliante richiama lo spumeggiare leggero del fiume; il pavimento, con i suoi intarsi, richiama il fluire delle acque; l’altare richiama la forma di una zattera. Qui tutto è glorificazione dell’elemento simbolo della vita terrena e di quella celeste. Che valse ai progettisti, nel 1988, il primo premio alla Mostra Internazionale di Architettura di New York.

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Quello religioso e mistico è, dunque, un altro importante volto di Caposele. Che trova la sua più compiuta espressione nel Santuario dedicato a San Gerardo Maiella. Il Santuario sorge nel luogo in cui, nel Medioevo, la Vergine apparve due volte a dei poveri pastori intenti a pascolare il gregge sulla sommità di una collina ricoperta di sambuchi. L'apparizione avvenne proprio su un sambuco e, in ricordo dell'evento e su espressa richiesta della Madonna, fu edificata sul posto una cappellina che divenne ben presto meta di molti pellegrinaggi. La chiesa, riedificata ed ingrandita nel corso dei secoli e dichiarata da Papa Pio XI nel 1930 Basilica minore, è, per l'appunto, dedicata alla Madonna, qui invocata sotto il titolo di Mater Domini, da cui anche il nome della frazione ove è sito il Santuario. Al culto della Mater Domini si affiancò, appunto, quello di San Gerardo, giunto a Caposele dopo che Sant'Alfonso Maria de' Liguori nel 1748 ebbe costruito, accanto alla venerata cappella mariana, un Collegio di Padri Redentoristi, che divennero, così, i custodi del luogo mariano. E proprio qui, il 16 ottobre 1755, morì San Gerardo Maiella, la cui tomba è oggi collocata ai piedi dell'altare della venerata statua della Mater Domini, al centro della basilica dietro un altorilievo in marmo, dove si intravede l’urna in cristallo, argento e madreperla che contiene il corpo del Santo. La venerazione della tomba ha determinato un tale aumento del numero dei pellegrini (più di un milione all’anno) da rendere necessaria, nel 1974, la costruzione di una nuova chiesa, detta del Redentore, le cui forme architettoniche ricordano la biblica Tenda per il Tabernacolo, costruita da Mosè nel deserto per ordine di Dio.

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Dedicato alla vita è anche l’ambiente più suggestivo del santuario di Materdomini: è la Stanza dei fiocchi, una sala interamente tappezzata di fiocchi, nastri, coccarde celesti e rosa, celebrativi della nascita e donati dai neogenitori in segno di ringraziamento. La sala si collega ad uno degli episodi più belli e straordinari della vita di San Gerardo, che, per ciò, è universalmente riconosciuto e invocato come Angelo delle culle, Patrono delle mamme e dei bambini, Protettore delle partorienti. L’episodio narra che, poco prima di morire, Gerardo, ospitato da una famiglia a Oliveto Citra, finse di dimenticare lì un fazzoletto. Una bambina gli corse dietro per restituirglielo, ma Gerardo le disse di tenerlo poiché un giorno le sarebbe servito. Diversi anni dopo la bambina, ormai diventata una donna sposata, era prossima al parto, ma i medici credevano che non ce l’avrebbe fatta. Ormai in fin di vita, la donna, ricordandosi del fazzoletto lasciatole da Gerardo, chiese che esso le venisse posto sulla pancia. Immediatamente i dolori cessarono ed ella partorì senza complicazioni un meraviglioso bambino. Per questo, ogni anno, il 16 ottobre, giorno della morte di San Gerardo, durante la celebrazione eucaristica, il parroco benedice tutte le partorienti consegnando loro un fazzoletto da tenere con sé al momento del parto.

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Culto della Madre di Dio, di Colei che ha generato una vita fatta della sostanza divina; venerazione di San Gerardo, di colui che protegge e custodisce il dono della vita accolta sotto il segno di Cristo; sorgente del Sele, del fiume che dona la vita e dà la sensazione di essere parte di un grandioso e insondabile progetto.

Tutto, in questo magico borgo, sembra innalzare la nostra anima all’Assoluto e renderci partecipi della vita e della bellezza dell’opera di Dio.