MAGICA IRPINIA: ATRIPALDA

Mentre rovistavo nell’antica biblioteca di famiglia, nel vano tentativo di riportare un po’ di ordine e dare una giusta collocazione alle centinaia di volumi ricoperti da una polvere secolare, mi imbatto in uno scartafaccio del Trecento. Preso e sorpreso dalla inattesa quanto considerevole scoperta, mi do con avidità alla lettura del manoscritto. La storia narrata era bella, molto bella: una storia di fatti memorabili accaduti a gente meccanica e di piccol affare. Ma quale difficoltà nella lettura!!! La narrazione era infarcita di una grandine di concettini, sgrammaticature, figure ampollose, periodi sgangherati. Eppure, la storia mi pareva troppo interessante e appassionante perché non la si raccontasse. E, allora, ecco che decido di riscriverla in modo tale da renderla comprensibile a tutti coloro che avranno la bontà di ascoltarla.

“Marco Vipsiano Primogenio non riusciva a credere ai suoi occhi: la domus che egli aveva acquistato e che aveva provveduto ad ampliare e abbellire finalmente era stata completata e si ergeva elegante e maestosa nel cuore della Civita, affacciandosi sul decumano maggiore. Mai avrebbe pensato che proprio a lui, uno schiavo, sarebbe potuta toccare una simile sorte. Marco Vipsiano, come lo stesso nome tradiva, era un liberto, uno schiavo liberato dal grande generale Marco Vipsiano Agrippa, l’artefice, tra l’altro, delle decisive vittoriose battaglie di Filippi e di Azio, rispettivamente del 42 e del 31 a.C, nonché amico d’infanzia e genero di Ottaviano Augusto, di cui aveva sposato la figlia Giulia. La decisione del suo dominus di inviarlo, nel 15 a. C., ad Abellinum testimoniava l’importanza che la città foederata di Roma già rivestiva quale punto nevralgico sia per il controllo delle vie di comunicazione tra il nodo montuoso di Montevergine e quello del Terminio, in un'area strategica tra la Campania e il Sannio, sia nel proteggere il fianco destro dell'Appia, la regina viarum, che, attraverso Beneventum ed Aeclanum, costituiva a quell'epoca la più diretta ed importante via di comunicazione di Roma con l'Oriente.

DOMUS3jpg 

La crepuscolare luce autunnale, che profumava dei pampini rubri e dei chicchi maturi, si spandeva mollemente nel perystilium e faceva vibrare di scaglie ramate l’acqua della piscina, mentre in lontananza rumoreggiava il Sabato, il fiume che, secondo fantasiose ipotesi di antichi scrittori, sarebbe stato così chiamato da Sabatio, pronipote di Noè, il quale dette il nome di Sabathia al primo insediamento umano che trovò vita lungo la vasta fascia di terra bagnata dal predetto corso fluviale. Infatti, prima di diventare romana, Abellinum aveva ospitato un insediamento sannita, che, secondo l'atavico costume, abitava sparso in piccoli villaggi, spesso costituiti soltanto da pochi nuclei familiari. Espugnata dai Romani nel 293 a.C., dopo la sanguinosa battaglia di Aquilonia, che concluse le guerre sannitiche, Abellinum divenne una colonia militare quando Silla, annientate le resistenze degli Italici, ricompensò i veterani assegnando loro i terreni sequestrati agli Irpini. La colonizzazione sillana mutò radicalmente il volto dell’Abellinum irpina, che assunse i tratti di una vera e propria città. La pax Augustea diede ulteriore impulso all’urbanizzazione di Abellinum, che si dotò di nuovi edifici, pubblici e privati. A sovraintendere a tale processo, come legato militare, Ottaviano aveva inviato Publio Catieno Sabino, che aveva esercitato a Roma le cariche di tribuno della plebe, pretore, proconsole e prefetto dell'erario.

FIUME_SABATOjpg

E proprio di Publio Catieno Sabino era, quella sera, in trepidante attesa Marco Vipsiano. Tutto era pronto per accogliere l’illustre ospite, mentre innumerevoli lucerne e candele, sorrette da preziosi candelabri, diffondevano una morbida luce rasserenante a illuminare lo spazioso triclinium che si apriva sul peristylium. Marco aveva un grosso favore da chiedere a Publio: fare in modo che Lucio, il suo unico figlio, che di lì a poco si sarebbe arruolato nell’esercito, non venisse inviato a combattere in terre infestate da popoli barbari particolarmente pericolosi. Publio si dimostrò oltremodo comprensivo delle ragioni dell’ex schiavo, probabilmente più per il rispetto che nutriva per l’insuperato Agrippa (morto ormai da qualche anno) che non per un’intima convinzione. Comunque, qualunque fosse la ragione, Marco riuscì nel suo intento e dopo, qualche anno, poté riabbracciare il figlio e godere, ormai anziano, della gioiosa esuberanza dei suoi nipoti.

La morte di Marco Vipsiano non portò grossi cambiamenti nella vita della sua famiglia, che continuò pacatamente di generazione in generazione. Come tranquilla e senza scosse si svolse la vita di Abellinum durante i primi secoli dell'impero. Fino a quando non vennero a turbarla le lotte e le persecuzioni religiose.

Il Cristianesimo si era diffuso ad Abellinum nella seconda metà del III secolo, inizialmente tra le persone di umile condizione, successivamente anche tra il ceto medio e persino tra alcuni membri dell'aristocrazia senatoria. Tanto che la città fu, tra le antiche città irpine, la prima ad avere una cospicua comunità cristiana e a divenire sede vescovile già nel IV secolo, se non addirittura alla fine del III. Capo di quella comunità diventò, per l'assoluta coerenza di vita, la parola rapida e tagliente, la fede ardente ed appassionata, l'elevata cultura, Ippolisto, convertitosi al Cristianesimo ed ordinato sacerdote ad Antiochia, dove il padre lo aveva inviato per essere educato alla cultura classica. Ritornato ad Abellinum, Ippolisto si diede ad una intensa opera di conversione e di proselitismo. Tra i proseliti vi fu anche Marco Vipsiano Minore, uno dei pronipoti di quel Marco Vipsiano liberto di Agrippa. Anzi Marco era con il Santo quando, il primo maggio del 303, durante la festa di Giove, Ippolisto tentò di predicare al popolo lì riunito, invitandolo a rinnegare i falsi dei. Ippolisto venne immediatamente arrestato e condannato ad essere trascinato da un toro infuriato fino al luogo del supplizio, sulle rive del Sabato, dove due littori, troncatagli la testa dal busto con quattro colpi di scure, la gettarono nel fiume, lasciando il corpo insepolto. Ma le matrone Massimilla e Lucrezia, figlie del senatore Massimiano, violando il feroce decreto dei magistrati, raccolto in segreto il corpo di S. Ippolisto, gli diedero pietosa sepoltura nel sotterraneo di una loro villa di campagna, vicina al luogo del supplizio. Pagarono, tuttavia, la loro pietà con la morte: furono infatti condannate ad essere strangolate dai littori. Ma le persecuzioni (cui gli editti emanati da Diocleziano nel 303 avevano dato inizio) non si fermarono qui, mietendo altre vittime illustri, come il senatore Quinziano, già convertito da S. Ippolisto. Il martirio di Quinziano fu reso ancora più tragico e toccante dalla contemporanea uccisione dei suoi figli, Ireneo e Crescenzio, di dieci e sette anni, che, aggrappati al padre e non volendo a nessun costo abbandonarlo, furono anch'essi giustiziati. Le persecuzioni nei mesi e negli anni successivi videro il sacrificio di altri martiri, fra cui Giustino, Proculo e Firmiano -tutti appartenenti a famiglie patrizie-, Anastasio -amministratore imperiale della città-, Secondino -figlio di un alto ufficiale-, Firmio, Fabio, Eustachio, Eusebio, Eulogio, Querulo.

specusjpg

Marco Vipsiano, insieme con gli altri fedeli, traslò i corpi dei martiri nella stessa cripta di S. Ippolisto, sicché la grotta dello Specus martyrum divenne catacomba sia per i santi martiri sia per i fedeli cristiani che si nascondevano all'interno per pregare. Marco nutriva una sorta di invidiosa ammirazione per quegli uomini che il martirio aveva reso santi. E, spesso, si chiedeva con tormentata angoscia se mai avrebbe avuto il medesimo coraggio, se mai sarebbe stato pronto a dare la propria vita pur di non rinnegare Dio. Per questo, per tacitare i sensi di colpa di una volontà e di una fede che egli riteneva essere non sufficientemente forti, cercava le più disparate occasioni per rendersi utile al prossimo. Sicché fu tra i più zelanti ad offrire il proprio aiuto quando, con l’editto di Milano del 313, cessate le persecuzioni, lo Specus martyrum poté essere più degnamente sistemato e venire finalmente aperto al culto pubblico. Dai sepolcri dei santi martiri giungeva a Marco un eloquente esempio di vita vissuta cristianamente con una forza tale che egli decise di consacrarsi totalmente a Dio e trovare, così, tra quelle sepolture, il senso ultimo e più profondo della sua esistenza. 

specus-martyrumjpg

Oggi lo Specus è conservato all'interno della Chiesa di S. Ippolisto, di epoca tardo- paleocristiana, elevata a collegiata nel 1598 e restaurata nel 1852. Esso ospita, altresì, anche il sepolcro di San Sabino, vescovo di Abellinum nel 525-526 nonché patrono della città, discendente di quel Publio Catieno Sabino che, essendo intervenuto a favore del figlio di Marco Vipsanio Primogenio, aveva molto probabilmente deciso anche della vita di Marco Vipsiano Minore.

La-chiesa-di-Santo-Ippolistojpg

Anche se lo slancio mistico non è sicuramente più quello che animò i Santi martiri, pure lo Specus continua ad emanare un fascino suggestivo, che ne fece faro della fede anche nelle epoche più oscure. Infatti, pur dopo la scomparsa di Abellinum ed il crollo dell'intera civiltà romana, la Cripta dei martiri continuò ad essere oggetto di costante e fervida devozione da parte delle popolazioni sopravvissute a così tante guerre e calamità. E, quando, intorno al Mille, un fremito nuovo di vita ed un rinnovato fervore di attività e di progresso percorsero ed animarono l'intera società medioevale,  ripercuotendosi anche sulle rive del Sabato, l'antica e venerata chiesa di Sant'Ippolisto, sopravvissuta a tanto volgere di eventi, venne a costituire il naturale fulcro, ideale ed urbanistico, del nuovo centro che, raggruppando ed inglobando gli sparsi nuclei esistenti ed attirando a sé nuovi gruppi di popolazione, cominciò a svilupparsi sulla riva destra del Sabato.”

 SANTIPPOLISTO1jpgChiesa di Sant'Ippolisto

CENTRO STORICOjpgIl centro storico


la-dogana-dei-granijpg
La dogana dei grani


PIAZZAjpg
Piazza Umberto I